Social… fishing

Ogni volta che scriviamo una frase, un messaggio, un pensiero, una preghiera, un’offesa, uno sfogo o altro su un social network o altro mezzo di comunicazione di tipologia affine, stiamo gettando un amo. Stiamo tendendo una mano. Stiamo generando un eco. Stiamo bussando a mille porte immaginarie, sperando che qualcuno apra.

Qualcuno ha detto che la vera molla di queste nuove autostrade cibernetiche del dialogo è il mero e semplice farsi i fatti degli altri o poter sfogare il proprio esibizionismo in maniera più sofisticata.

Penso che da un lato sia effettivamente così, ma dall’altro ciò che importa davvero, anche a chi non ne è convinto e si professa autonomo da ogni legame col prossimo, è la risposta che si riceve.

La mano che stringe la tua. Il pesce che abbocca all’amo. Le pareti che riflettono la tua voce come fosse la loro. Le porte che si aprono.

Affermare se stessi, apparentemente in solitudine, ma in verità contando, inconsciamente, sugli altri. In maniera assai strana, è vero, e forse neanche così salutare.

Ma è altrettanto vero che nella mia vita non ho ancora incontrato nessuno davvero immune da insicurezze. Solo chi reagisce con forza uguale e contraria o chi le sa più o meno nascondere, semmai.

Penso che sia un bene che ogni tanto cuore e mente sobbalzino, per poi vacillare e confondersi e cercare risposte in piazza. Ovviamente nessuna soluzione sarà quella giusta, questa è illusione. Ma recuperare un po’ di senso di protezione anche laddove tutto è vacuo e banale, non sempre è un male.

Panacea elettronica, o meglio, il networking placebo. Se non altro, è gratis.

O no?

:)

Walked out this morning
Don’t believe what I saw
A hundred billion bottles
Washed up on the shore
Seems I’m not alone at being alone
A hundred billion castaways
Looking for a home

getmedia