Desideri e aspettative

Questo editoriale l’ho scritto ben due anni fa,  ma trovo che sia senza tempo e riproporlo oggi come tra dieci o vent’anni mi fa e farà sempre bene. Eccolo.

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Tratto direttamente da Wikipedia: “l’aspettativa è una posizione di attesa di un effetto acquisitivo incerto”; una frase scritta in legalese che sembra piuttosto scontata ma, in realtà, soffermandoci un attimo in più su ogni parola, possiamo scoprire quanto significato nascosto ci sia in questa breve definizione e quante amarezze, frustrazioni, delusioni siano insite nel concetto di “aspettativa”, uscendo ovviamente dal campo del diritto ed entrando in quello dei sentimenti umani.

In  un mondo creato e bilanciato sugli opposti, desideri e aspettative dipingono due status vitali nell’uomo, la cui differenza è sia formale che sostanziale. In pratica, è una differenza di… “movimento”, potremmo dire.
Il nostro movimento, ovviamente.
Nel corso dell’esistenza ci poniamo, o quantomeno ci dovremmo porre, degli obiettivi: si va dall’obiettivo quotidiano, in attività pur anche marginali ma ugualmente importanti a livello personale, a quelli “vitali”, quali la salute, l’amore, la casa, lo studio, il lavoro, etc…

Mentre il desiderio, che, attenzione, non è necessariamente il “sogno”, presuppone l’avere bene in mente (e nel cuore) il punto di approdo verso questi obiettivi, ma al contempo valutarne ed esaltarne il cammino che spetta a noi e solo a noi compiere, l’aspettativa svolge il ruolo di “punto morto”, di attività zero potremmo dire. Questo perché, tornando alla frase di cui sopra, è prima di tutto una “posizione di attesa”. L’attesa è il peggior nemico della vitalità, della creatività, della vita oserei dire in generale; è uno stato inattivo che non porta a nulla, che si illude che le cose arrivino da sole e che può portare così a delusioni e depressioni notevoli.

Oltre a questo, la definizione sottolinea anche un’altra caratteristica importante dell’aspettativa: “dall’effetto acquisitivo incerto”. Primo: effetto acquisitivo, ciò nel nostro caso significa che non siamo noi a creare o provocare l’effetto secondo una linea d’azione precisa, ma diamo per scontato che già esista e prima o poi ci cadrà tra le braccia. Secondo: incerto, il che ha due grandi conseguenze, farci rimanere perennemente nel limbo del dubbio (da cui la paranoia) e non risolversi mai completamente e con nostra totale soddisfazione (da cui la frustrazione).

L’aspettativa è quindi un triplo inganno: diamo per scontato che un risultato già esista di per sé, diamo per scontato che debba essere legittimamente nostro, diamo per scontato che prima o poi arriverà e non ci preoccupiamo minimamente di ciò che sta tra quel “prima” e quel “poi”, continuando solo a soffrire i colpi di un mare in tempesta.
Attenzione, ora colpirò i più “forti”. Impegno, costanza, passione, etc… sono tutte cose che nella vita vanno alimentate, sempre. Ma ciò non significa che avrete ciò che vi… aspettate!
Anche in questo caso, l’aspettativa è deleteria, forse ancora di più perché dà luogo a un sentimento di rivalsa verso il mondo, dal quale ci allontaniamo dipingendoci vittime di un’ingiustizia e chiudendoci in un guscio di pietra dalla sicurezza illusoria (anche la debole acqua pian piano corrode la roccia, è questione di tempo).
Ma ci siamo mai chiesti se, invece, i nostri sforzi non sono stati indirizzati ciecamente e freneticamente verso una e una sola causa, autolimitandoci tutte le possibilità alternative che intanto ci scorrevano accanto?

Arrivati a questo punto vi starete chiedendo il perché di questo discorso “filosofico”. Intanto, filosofico proprio non vorrei apparire, non ne sono in grado e spesso non ne accetto io stesso i metodi, né tantomeno c’è un intento “educativo” alla base di questo breve scritto.
Mi accorgo però sempre più spesso che le persone si pongono non più degli obiettivi, ma delle aspettative. È sempre colpa “di qualcun altro” se poi tali aspettative non si risolvono. Questo succede spesso a chi offre la propria arte ma è poco incline a mettersi in gioco e ad accettare la gavetta; si stilano lunghissimi elenchi di “cattivi”, senza però ricordarsi che quando si stringe il pugno per puntare il dito verso qualcuno, le altre tre dita rimangono rivolte contro se stessi.
L’altra faccia della medaglia, quando pensiamo di essere noi i “giudici”, non diamo la posssibilità di cambiamento all’artista (o semplicemente alla persona che ci sta a fianco, amico, compagno, collega), perché ci si “aspetta” che lui rimanga lineare, sempre uguale a sé stesso, per avere in noi sempre le stesse emozioni. Un po’ egoistico, non vi pare?

Cos’è quindi questo male che finora abbiamo chiamato “aspettativa”? È il ricamo sempre uguale di noi stessi sul mondo, è il nostro colore sulle sue immagini, sulle sue forme in movimento. Ma un mondo tutto dipinto dello stesso colore, è il peggiore dei mondi possibili.

Non pretendo di avervi detto niente di nuovo, non c’è nessuna verità miracolosa in queste banali parole. Ma forse, a volte, per realizzare qualcosa, dovremmo camminare e pensare in maniera diversa da ciò che siamo soliti fare, imboccare altre strade, muoverci senza pensare che esista una sola direzione per ognuno di noi, la sola che ci può rendere felici, o per dirla meglio, che ci aiuterà ad essere “migliori”.
Perché una volta ogni tanto qualche aspettativa si può pure avverare, ma chiedete a qualche escursionista di montagna cosa c’è dietro una cima appena raggiunta. Vi risponderà: un’altra cima!

Social… fishing

Ogni volta che scriviamo una frase, un messaggio, un pensiero, una preghiera, un’offesa, uno sfogo o altro su un social network o altro mezzo di comunicazione di tipologia affine, stiamo gettando un amo. Stiamo tendendo una mano. Stiamo generando un eco. Stiamo bussando a mille porte immaginarie, sperando che qualcuno apra.

Qualcuno ha detto che la vera molla di queste nuove autostrade cibernetiche del dialogo è il mero e semplice farsi i fatti degli altri o poter sfogare il proprio esibizionismo in maniera più sofisticata.

Penso che da un lato sia effettivamente così, ma dall’altro ciò che importa davvero, anche a chi non ne è convinto e si professa autonomo da ogni legame col prossimo, è la risposta che si riceve.

La mano che stringe la tua. Il pesce che abbocca all’amo. Le pareti che riflettono la tua voce come fosse la loro. Le porte che si aprono.

Affermare se stessi, apparentemente in solitudine, ma in verità contando, inconsciamente, sugli altri. In maniera assai strana, è vero, e forse neanche così salutare.

Ma è altrettanto vero che nella mia vita non ho ancora incontrato nessuno davvero immune da insicurezze. Solo chi reagisce con forza uguale e contraria o chi le sa più o meno nascondere, semmai.

Penso che sia un bene che ogni tanto cuore e mente sobbalzino, per poi vacillare e confondersi e cercare risposte in piazza. Ovviamente nessuna soluzione sarà quella giusta, questa è illusione. Ma recuperare un po’ di senso di protezione anche laddove tutto è vacuo e banale, non sempre è un male.

Panacea elettronica, o meglio, il networking placebo. Se non altro, è gratis.

O no?

:)

Walked out this morning
Don’t believe what I saw
A hundred billion bottles
Washed up on the shore
Seems I’m not alone at being alone
A hundred billion castaways
Looking for a home

getmedia